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Il pescatore di Favignana


di Bottony
28.07.2020    |    16.221    |    17 9.0
"Alberto si fa forza, guarda il contenuto della cassetta piena di saraghi e orate fresche e lo accompagna in cucina..."
“Il mare oggi è calmo. Il traghetto sarà veloce oggi” Sono questi i pensieri di Alberto quella mattina di inizio giugno appena alzato dal letto, pronto ad affrontare la sua estate a Favignana per lavorare al ristorante di zio Nino tutta la stagione. La valigia è pronta, così lascia che il padre lo accompagni con la sua nuova Fiat Uno bianca fino alla banchina del porto, lo saluta affettuosamente con un bacio, e frettoloso, pieno di preoccupazioni e tanto entusiasmo, si dirige verso la sua nuova avventura che comincia con la biglietteria della Siremar, la compagnia dei traghetti.
Sa che la partenza segna per lui un momento importante, un segno che sta per diventare adulto, tra poco forse avrà anche una moto perché zio Nino gli ha promesso che avrebbe potuto utilizzare il suo ciao. Così, mentre sale la rampa, sogna e si vede già andare in giro per le strade assolate, con l’abbronzatura e tanta voglia di scoprire, vedere tutto e saziarsi di ogni cosa. Felice anche perché per tre mesi non dovrà andare a scuola.
Pensa a quante cose potrà comprare con i soldi guadagnati e al fatto che farà tanti bagni nella sua isola preferita. Si immagina già a Cala rossa con il costume e la pelle scura. Pensa allo Ciao e al fatto che ne avrà cura e che se, eventualmente, dovesse guastarsi potrà aggiustarlo insieme allo zio Nino.
Il ragazzo sa, sotto sotto, che avrà modo di esplorare con lo sguardo smaliziato molti ragazzi ed ammirarne i fisici scultorei durante la bella stagione, quando tutti vanno in giro mezzi nudi (coetanei, ragazzi più grandi, mariti, ecc.). Finalmente sarà libero. Ad Alberto piacciono gli uomini veri, adulti e ben formati e spera di trovarne abbastanza da saziare tutte le sue fantasie.
Tutto questo pensa quando il traghetto salpa dal porto diretto verso le Egadi, e il mare è davvero calmo quella mattina e tutto fila liscio come l’olio fino a destinazione. Favignana è come al solito soleggiata e bellissima, a sinistra le collinette brulle con qualche palma nana e, a destra del porto, una distesa lunga e pianeggiante.
Il paese non è ancora in fermento, la stagione è appena cominciata ma qualche turista scende insieme a lui sulla terraferma. Alberto da uno sguardo in giro, alle barche dei pescatori, alle case bianche del paese. Respira aria nuova. Imbocca la strada verso il bar del porto dove ha appuntamento con zio Nino e si sente pervadere da un’aria di entusiasmo e salsedine. Mentre cammina si guarda intorno e nota che le barche hanno tutti colori sgargianti – blu, rosso e verde su sfondi di un bianco candido - e che i pescatori sono intenti a sistemare i loro attrezzi da lavoro dopo la mattina che avranno passato a pescare. Alberto da uno sguardo a quegli uomini dediti al lavoro nel mare. Li scruta con un certo interesse e fantastica su ciascuno di essi. Sono tutti della stessa stazza e hanno dei visi segnati dal sole. Così fantastica sul primo che avrà
Tra tutti quei pescatori, però, viene attratto da uno in particolare che sta per armeggiare con le sue reti in barca. È un uomo robusto, indossa un paio di jeans chiari e una maglietta bianca bagnata che mostra i suoi muscoli e i peli del petto in trasparenza, le braccia forti, l’abbronzatura. Alberto sente una vampata, fissa quell’ercole marittimo e ad un certo punto capisce di essere fissato anche da lui. Poi distoglie lo sguardo ma sente ancora gli occhi del pescatore e ha paura di essere stato capito, letto nel suo pensiero. Il pescatore continua a guardarlo.
Ed in effetti è così, perché il pescatore ha capito che quel ragazzetto solo, appena arrivato con quella grossa valigia, è un un’arrusu e a lui gli arrusi piacciono pure, e quel giovinetto è proprio un bel maschietto – con un culetto come il burro e con una camminata da vero ometto. L’uomo continua a pulire le reti e osserva quel giovane camminare sino al bar in fondo alla strada, dove si ferma in attesa.
“Eccoti, ben arrivato Alberto!”, non si era accorto che nel frattempo zio Nino era uscito dal bar per accoglierlo e lo strattonava per baciarlo. “Come è andato il viaggio? Andiamo che zia ci aspetta. Lasciamo la valigia alla casa in centro e poi andiamo a pranzare al ristorante. Ti ha fatto le busiate”.
Mentre stanno per sistemare la valigia nel cofano della golf rossa di zio Nino, vede avvicinarsi proprio il nerboruto pescatore dalla maglietta bagnata: “Buonasera Ninuzzo, come andiamo?”.
La paura e l’imbarazzo si impossessano di Alberto e così il suo corpo fa suonare un allarme sul suo viso, che diventa rosso paonazzo.
Zio Nino saluta con la mano il pescatore: “Uellà Peppe, che mi racconti? Ti presento mio nipote Alberto, che ce lo teniamo a fare il cameriere per l’estate al Veliero così impara a travagghiari e nel frattempo si passa le ferie”.
Così adesso il pescatore ha un nome, Giuseppe. Alberto gli stringe la mano possente e coriacea, incredulo che proprio quell’uomo doveva incontrare per una seconda volta tra tutti i pescatori che c’erano e che a lui stava proprio stringendo quella mano grozza e rude che avrebbe voluto su di lui come si desidera il pane quando si ha molta fame.
“Alberto!” fa lo zio, “Ti presento Peppe, il migliore pescatore di Favignana.
Mi porti qualcosa di fresco questo venerdì, Peppù?”.
Era, evidentemente, anche uno dei rifornitori di pesce del Veliero, il ristorante dello zio dove avrebbe cominciato a lavorare proprio quella domenica sera.

La settimana fila liscia, Alberto impara e diventa un esperto del servizio ai tavoli ma la sua più grande emozione è nell’attesa che sia venerdì e che arrivi il pesce fresco, non è riuscito a dimenticare Giuseppe. Gli zii gli offrono di dormire in una casa che hanno appena ereditato in centro. Un bilocale a piano terra niente male, spartano e che dovrebbe forse diventare una casa vacanza ma che necessita ancora di qualche ristrutturazione. Alberto è grato, si sente amato e accettato. Gli zii sono come una seconda famiglia per lui e non hanno figli. Si preannuncia l’estate più bella di sempre. La casa e comoda e lui sogna di poter ospitare Giuseppe nel suo bel lettone e si tocca ogni sera pensando a lui in quel letto. La mattina va al mare quando è libero e non perde d’occhio il suo Ciao parcheggiato a due metri dalle spiagge che visita – prende il sole 5 minuti, fa il bagno, vede se c’è qualche ometto interessante e, se lo trova, staziona per un certo periodo ad ammirare il panorama.
Il giovedì sera arriva e lui non riesce a dormire nell’attesa di dover rivedere Giuseppe. Sa che zio Nino apre il ristorante alle 10 e che i pescatori e gli altri fornitori possono arrivare a qualsiasi ora. Deve arrivare prima che Giuseppe porti il pesce. Vuole rivederlo e continuare a sognare, vuole immagini vivide che gli serviranno per quando si masturberà di nuovo pensandolo, vuole notare ogni dettaglio del corpo di Giuseppe che gli ritorni come un fulmine mentre se ne sta a letto nel momento del suo amplesso solitario; di un braccio muscoloso da toccare, di una peluria sul collo da baciare, di una coscia muscolosa da paragonare alla sua, più piccola e gracile, delle vene dei bicipiti gonfi che ha intravisto quando Giuseppe gli ha stretto la mano.
Così arriva puntuale, quel venerdì, al Veliero di mattina presto. Alle richieste di zio Nino, Alberto risponde che non aveva più sonno ed era emozionato perché l’indomani è sabato e il ristorante sarebbe stato pieno per la prima volta. Non vedeva l’ora. Tutte scuse!

Poi arriva Peppe, alle 11,30 di quel venerdì di inizio Giugno del 1987.

Sembra un dio greco che porta il frutto delle sue fatiche, il suo pesce. Indossa una maglietta smanicata color pesca che mette in risalto la sua abbronzatura e la peluria scura delle braccia e un paio di pantaloncini corti bianchi che aderiscano perfettamente al suo fondoschiena e ai suoi voluminosi attributi. Alberto riesce ad intravedere che sotto indossa degli slip neri e che i peli delle gambe, a contatto con il tessuto, formano un fitto coacervo visibile anche al di sotto del tessuto.
Alberto non capisce più niente. Non sa cosa guardare prima. Cosa memorizzare da tutto quel ben di dio che la natura ha messo al mondo e che lui sta ammirando con devozione.
“C’è tuo zio? Ho portato il pesce” fa Peppe ad un intontito Alberto intento a mettere a posto le sedie di plastica nei tavoli all’ingresso del locale.
Alberto si fa forza, guarda il contenuto della cassetta piena di saraghi e orate fresche e lo accompagna in cucina. Deve trovare una scusa per seguirlo così fa finta di essere incuriosito: “prego, entri pure, è in cucina. Li ha pescati oggi questi?”.
“No, sono della scorsa settimana!” fa Giuseppe, regalando ad Alberto il sorriso più bello ed ironico che aveva mai visto in vita sua.
Finita la transazione, pagato il pesce, il pescatore si ferma all’ingresso, vicino ai tavoli dove Alberto stava posizionando i coprimacchia ai tavoli. Deve parlare a quel ragazzo, ha troppa voglia di toccare e palpare quel suo burroso culetto. Vorrebbe infilarci dentro il suo grosso uccello e vederlo godere. Sa che anche lui lo vuole e questo lo manda in estasi totale. Ha portato il pesce migliore e ora lo vuole; quel bel visino da maschietto, quel suo modo di fare deciso e intraprendente, quel suo musetto da baciare.
“Com’è Favignana? ci sei già da una settimana…” fa l’uomo.
“Bella, il mare è stupendo, vorrei girare tutta l’isola e ci sono quasi, vado con il ciao di zio Nino” risponde il ragazzo, emozionato e tradendo un leggero imbarazzo.
“Se vuoi te la faccio vedere dal mare con la barca, è tutta un’altra cosa dal mare. Solitamente mi faccio pagare per fare il giro dell’isola ma se vuoi per te è gratis visto che sei nipote di Nino” lo incalza Giuseppe. “Si può fare domani mattina, io non lavoro e il mare mette bello, ci sarà il sole”.
“Va bene” risponde sillabico Alberto, incredulo e trasognante.
“Ricorda di mettere un cappellino perché il sole picchia. Ci vediamo al porto alle 10 così magari prima cerco qualcuno da portare con noi in modo che ci paghi la benzina, qualche turista!”, conclude Peppe, che si allontana battendo sul selciato i suoi zoccoli di legno, duri come la robustezza delle sue natiche ondulanti fino a quando non hanno trovato sostegno sul sedile della vespa azzurra con la quale era arrivato.
Se ne va facendo un gran fumo per la strada e suonando il clacson per tre volte. E si! Lo stava salutando in questo modo.

Quella sera Alberto è preoccupato e non dorme. Prepara le sue cose per la gita in barca e spera che il pescatore trovi i turisti. Vorrebbe evitare che sfumi tutto per colpa del fatto che nessuno paghi la benzina. Non si tocca per tutta la sera il pisello. L’incontro dell’indomani è sacro e la sacralità non va mortificata con gesti che sminuiscano la bellezza di quell’incontro. Ha bisogno di rivedere subito Giuseppe e l’insieme di tutto quel corpo fatto di muscoli, pelle, peli, bocca e denti. Lo vuole più di quanto non abbia mai voluto nessuna altra cosa nella sua vita. Sa che nutre delle aspettative irrealizzabili ma non riesce a capacitarsi delle ragioni di quella misteriosa attrazione. Giuseppe avrà circa 40 anni, lui solo 17.
Vorrebbe gridargli a gran voce quanto gli piace, quanto si sente attratto da lui e che è disponibile a ricevere ciò che lui è disposto a dargli. Anche delle carezze, dei baci, degli schiaffetti, una stretta di mano. Quello che lui vuole. Magari un abbraccio forte e duraturo. Perché, su di una cosa è profondamente certo, non esistono posti in cui trovarsi meglio che tra le sue braccia forti. Sente un terribile mal di testa.
Sogna ma a breve lo rivedrà. Fa un sospiro prima di addormentarsi e cade in un sonno non molto profondo, si risveglia per guardare l’orologio più volte quella notte.

L’indomani, Alberto è pronto già alle otto, va in strada e si gode il fresco della mattina che solo il mese di giugno sa regalare a quella parte della Sicilia occidentale. Soffia una leggera tramontana ma nulla che renda il mare mosso a tal punto da dover mandare all’aria una gita in barca. Trova Giuseppe a parlottare con delle persone, una coppia di anziani signori, sul molo. Saranno loro a sovvenzionare il giro, Alberto sente un guizzo di piacere.
Contrattato il prezzo con i mecenati, Giuseppe si rivolge finalmente ad Alberto per un saluto con una strizzata d’occhio. “Ecco il mio aiutante di oggi!” fa Giuseppe ai signori, avvicinandogli la barca in modo da agevolare loro la salita sull’imbarcazione. Logico che quella complicità gli provoca una goduria dietro la schiena. Alberto fa un salto verso la barca dal molo e quasi cade ma subito Giuseppe lo prende da un braccio con un riflesso incredibile e lo rimette in piedi.
“Non è successo nulla!” fa Giuseppe.
“Non vedevo l’ora, grazie mille per avermi invitato” dice il ragazzo cercando di non farsi sentire dalla coppia.
Il giro in barca si svolge tra le acque azzurre della costa. A volte più chiare e altre volte blu scuro in un susseguirsi di sfumature di azzurro, Alberto pensa a quanto quei colori contrastino con il petto villoso ed esteso di Giuseppe. Passano il Bue Marino con quelle forme squadrate che i resti delle cave di tufo hanno lasciato, i faraglioni, gli scogli e le cale dell’isola.
Alberto sente Giuseppe spiegare ai signori le conformità delle cale, le leggende dell’isola, la vita marina dei pesci, le zone più pescose, come si cucina il pesce alla brace. Ammira il modo di spiegare; l’attenzione e l’entusiasmo che ci mette per descrivere gli anfratti della costa che lui conoscerà a memoria. Alberto pagherebbe oro per essere da solo con lui tra quelle calette isolate dove si fermano per ammirare la macchia mediterranea più da vicino e toccare il suo corpo nudo.
“Ti piace? Ho capito subito che eri un tipo curioso proprio quando ti ho visto scendere dal traghetto una settimana fa”, dice Giuseppe ad Alberto.
“Dalla barca è tutta un’altra cosa, e poi sto imparando un sacco di cose, perché le spieghi bene”. Fa Alberto, mentre si avvicina a lui e gli tocca la spalla che sente ampia e forte come quella di una roccia di tufo che sbuca dal mare, una mano che per Giuseppe arriva da dietro e che accoglie e si lascia toccare, che rimane fissa immobile nel punto in cui all’inizio Alberto l’ha appoggiata. Giuseppe a quel punto trema. Trema come un bisonte e Alberto lo sente.
Stringe la presa e si sente dire all’orecchio da Giuseppe.
- “Quando torniamo al porto andiamo a casa mia. Ti va?”
Alberto non sa che fare, sente un tonfo al cuore. La vita non è mai stata cosi bella quanto quella mattina.
“Si!”, conclude mentre prende l’enorme mano di Giuseppe e la stringe più forte che può, totalmente incurante del fatto che l’equipaggio pagante potesse vedere.
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